Beato Sante
Come si legge nell’iscrizione latina del 1700 murata sotto il portico d’ingresso, il primo convento, annesso ad una piccola cappella già esistente, fu fondato nell’anno 1223; la piccola chiesetta preesistente si chiamava Santa Maria di Scotaneto, dai molti scotani della vicina selva, e probabilmente doveva trovarsi in una posizione diversa da quella attuale, forse spostata più a sud- est.
Ma fin dall’epoca romana, prima della diffusione del Cristianesimo, il bosco e l’intero colle erano considerati luoghi sacri dalle genti del posto. Gli stessi toponimi, come “Montegiano” o “Strada di Marte”, riferiti il primo al borgo di case ai piedi del colle ed il secondo ad un viottolo che costeggia il bosco, sembrano rimandare ai culti pagani di Giano e Marte.
Pare che siano stati gli stessi abitanti di Montegiano e Mombaroccio a fare richiesta a San Francesco che in quegli anni peregrinava per l’Italia per annunciare la parola di Dio, di avere nel loro territorio una comunità di frati francescani.
L’afflusso dei fedeli finì con l’imporre, a poco più di un secolo di distanza, l’abbattimento della chiesa e del convento primitivi e la loro ricostruzione sulla sommità del colle, in una posizione un po’ particolare: il colle era infatti tagliato a metà dalla strada che scorreva tra la chiesa, nella diocesi di Fano, e il convento nella diocesi di Pesaro. Ecco perché la nuova Santa Maria di Scotaneto, il 21 agosto 1351, fu consacrata dai vescovi di entrambe le diocesi.
Solo sotto il pontificato di San Pio V (1566-1572) il vescovo di Fano cedette al vescovo di Pesaro la chiesa.
Venti anni dopo la consacrazione della chiesa giunse al convento Giovan Sante Brancorsini. Le sue virtù e i numerosi miracoli accrebbero l’affetto e la venerazione delle popolazioni vicine per cui aumentarono pure le offerte e i lasciti al convento.
Nel corso degli anni si ripresentarono frequenti le controversie fra i comuni di Montegiano e quello di Mombaroccio a cavallo dei quali è situato il convento in quanto entrambi pretendevano di averlo sotto la propria giurisdizione. La S. Congregazione del Buon Governo, con sentenza del 13 maggio 1659, attribuisce il convento di Scotaneto al territorio di Mombaroccio ponendo fine alla lunghissima controversia.
Durante il periodo napoleonico, in seguito all’abolizione degli ordini religiosi, ai frati venne ordinato di lasciare il convento.
Caduto l’impero di Bonaparte il convento e la chiesa vennero ridati ai frati e si ricostituì così la comunità religiosa. Con l’Unità d’Italia ci fu un nuovo allontanamento dei frati dal convento; solo la chiesa rimase aperta al culto e officiata dai Padri Gerolomoni di Mombaroccio.
Nel 1883 i Padri Gerolomoni lasciarono il convento e una piccola comunità di Frati Minori Osservanti potè ritornare a viverci.
Nel 1944 durante il passaggio del “fronte” il convento del Beato Sante ospitò intere famiglie sfollate dalle città divenute ormai pericolose a causa dei continui bombardamenti.
Gli Alleati però, per eliminare una postazione tedesca che controllava dalla collina del convento la valle del Metauro, bombardarono la zona e le strutture del convento e della chiesa furono danneggiate in più punti.
Nel 1956 dopo lunghe dispute e alterne vicende i religiosi ritornarono in possesso del bosco e del convento stipulando un atto di compravendita col Comune di Mombaroccio.
Aspetti architettonici
Della originaria chiesa, consacrata nel 1351 dal vescovo Pietro di Fano e dal vescovo Ondedeo degli Ondedei di Pesaro resta il portale principale in pietra di S. Ippolito a colonnette e pilastrini, anche se oggi esso risulta in parte mutilato ai lati e interrotto all’altezza dell’arco.
Al portone è addossato il portico a pilastri del secolo XVII che unisce a destra la chiesetta di San Bernardino, sopra la quale è situata l’antica biblioteca conventuale, e a sinistra il convento.
Alcuni elementi decorativi che dovevano far parte del portale originario si possono notare nella muratura esterna. Sulle lunette a destra e a sinistra del portale del 300 vi sono due tempere ottocentesche che ci raccontano due miracoli attribuiti al Beato Sante quando era ancora in vita: il lupo ammansito ed il toro domato.
All’interno della chiesa, nonostante l’aggiunta di fastosi altari barocchi e l’apertura dei tre arconi che mettono in comunicazione la navata maggiore con la navata minore aggiunta nel secolo XVII, è ancora leggibile l’originaria semplice struttura ad aula che fa pensare a pareti un tempo ornate da affreschi e ad una copertura a capriate scoperte; copertura che fu più tardi rialzata per inserirvi una volta a botte.
Anche i vani che ospitano il presbiterio, il coro e la sagrestia sono il risultato di una ricostruzione contemporanea alla copertura della chiesa.
Il coro ligneo e gli armadi che rivestono le pareti della sagrestia rappresentano una pregevole opera eseguita dal mastro lignario Venanzio Guidomei da Ginestreto nel 1721.
A sinistra dell’ingresso principale della chiesa troviamo un portale ogivale settecentesco di pietra arenaria che dà accesso al chiostro. La pietra pentagonale raffigurante l’Agnus Dei, posta alla sommità, era con ogni probabilità originariamente la chiave di volta dell’arco acuto dell’ingresso alla chiesa originaria.
Il chiostro quadriportico ad archi a tutto sesto risale al periodo in cui Francesco Maria I Della Rovere diede incarico a Girolamo Genga di ricostruire il convento.
Si può ipotizzare che l’intervento cinquecentesco del Genga abbia interessato i locali distribuiti ai lati del chiostro, esclusa la chiesa: al pianterreno il refettorio rinnovato nel secolo XVIII, ma che conserva il bel soffitto ligneo d’epoca e a cui si accede dall’originale portale cinquecentesco in pietra; al piano superiore i corridoi e le varie celle i cui soffitti presentano ancora strutture rinascimentali.
L’intera ala settentrionale del convento, il cortile minore e le ali di raccordo sono il frutto di ampliamenti successivi. Settecentesca è anche la costruzione dell’odierna foresteria che chiude il piazzale del santuario sul lato di settentrione.
All’interno del chiostro è pure visibile la base del campanile settecentesco che da questo punto di vista risulta sproporzionato rispetto alle ridotte dimensioni del luogo.
Esso comunque con i suoi mattoni in cotto rosato alternati alla pietra bianca dei capitelli, delle paraste e della cuspide che regge la palla di rame con la croce, rappresenta uno dei migliori esempi di torre campanaria realizzati nel pesarese nel ‘700.
Nel lato orientale del portico si trovano due portali in pietra del 1625 che danno accesso alla sala che ospita la pinacoteca.
Si tratta dell’ambiente che originariamente era destinato a cucina del convento; nel corso della sua ristrutturazione è riemerso il bel soffitto settecentesco a cassettoni lignei rettangolari ricoperti di stucco.
Le opere d’arte
La Chiesa
All’interno della chiesa, allineati lungo le due navate, si susseguono una serie di altari barocchi che presentano tutti paliotti di scagliola colorata.
Nella navata maggiore, a sinistra, vediamo:
– l’altare di S. Antonio da Padova in legno dorato, con colonne e capitelli corinzi; sulla cimasa è scolpito il sole, simbolo del Beato Sante. Il paliotto settecentesco in scagliola colorata è decorato a fiori, foglie d’acanto ed ha al centro l’immagine di S. Antonio. Una tempera su tela della seconda metà del 400 raffigura la “Madonna che adora il Bambino”.
– l’altare dell’Immacolata; al centro del paliotto in scagliola con decorazioni in bianco e nero, è raffigurato S. Francesco in estasi sorretto dall’angelo. Qui era collocata l’antica tomba del Beato Sante. – l’altare di S. Francesco d’Assisi in legno dorato del ‘700. Il paliotto settecentesco in scagliola policroma ha al centro l’immagine di S. Diego.
Nella navata a destra la successione è la seguente:
– altare del S. Crocefisso, in pietra serena del 1661, con Cristo in legno del 1400, posto su una tavola raffigurante i dolenti e le pie donne. – altare della Sacra Famiglia, con paliotto settecentesco in scagliola colorata con al centro lo stemma dei proprietari (i Giammartini e i Corvini).L’altare ligneo racchiude una tela raffigurante S. Anna, S. Gioacchino e la Madonna che presenta Gesù Bambino.
– altare della Concezione in legno dorato dipinto a finto marmo con al centro una statua del Padre Benedicente che sostituisce la pala perduta.Questo altare fu gravemente danneggiato durante la seconda guerra mondiale.
Ma l’opera artistica di maggior pregio e più suggestiva che troviamo all’interno della chiesa è il Crocefisso trecentesco che con le sue ampie braccia dorate sovrasta l’altare maggiore.
L’attribuzione dell’opera è ancora controversa: alcuni studiosi riconoscono in essa la mano di un artista marchigiano con influenze senesi ed umbre.
Il crocifisso è di proporzioni gigantesche (misura cm 386×295).
Ai piedi del Cristo è rappresentata la Maddalena. Entro le estremità lobate a forma di stelle a otto punte si trovano: sulla cimasa il Cristo Benedicente; sul braccio trasversale la Madonna a sinistra e S. Giovanni a destra; in posizione centrale è la croce ove è inchiodato il Cristo.
La pinacoteca
Nella sala adibita a pinacoteca sono conservati dipinti commissionati per la chiesa e per il convento, opere a stampa, incisioni, ex-voto in argento e in tavolette, vasi sacri d’argento, un paliotto settecentesco in scagliola, una cancellata in ferro battuto del 1719, che faceva parte della appella del Beato Sante.
Tra queste opere di varia qualità spiccano tre dipinti di grande valore.
– Polittico denominato “l’incredulità di S. Tommaso”. S. Tommaso è raffigurato al centro; negli scomparti da sinistra S. Michele Arcangelo, il Beato Sante, S. Pietro, S. Antonio Abate. Il polittico è considerato il capolavoro di Zanino di Pietro, attivo fra la fine del’300 ed i primi del ‘400.
La cornice lignea è autentica. E’ sormontata da due minute sculture a tutto tondo e da sei cuspidi, tre delle quali sono autentiche.
Cristo al centro del polittico ha veste bianca, vessillo con croce rossa su campo bianco della Resurrezione e libro in mano. S. Tommaso è genuflesso dinanzi al Cristo e appoggia la mano sulla piaga nel suo petto.
S. Michele che combatte contro il drago-satana giacente ai suoi piedi, rappresenta la vittoria della fede sulle tenebre del male. S. Pietro con mantello giallo oro su tunica blu reca come attributi la chiave d’oro del paradiso ed il vangelo.
S. Antonio ha tonaca con cappuccio, simbolo del padre del monachesimo. Regge il bastone a simboleggiare il dovere del monaco medioevale di aiutare gli infermi. E’ accompagnato dal piccolissimo maiale.
– Madonna dell’Umiltà Detta anche Madonna del Latte. E’ una tavola di piccole dimensioni che rappresenta Maria seduta non su di un trono ma a terra, su di un cuscino.
Questa iconografia già molto frequente nelle seconda metà del ‘300, si ritrova facilmente anche nella pittura tardo gotica. Il quadro è attribuito alla scuola marchigiana dei primi decenni del ‘400 e dimostra derivazioni senesi nella fittissima decorazione del fondo, del prato, del bordo delle vesti, del cuscino.
– Incontro tra Anna e Gioacchino Il dipinto narra l’incontro tra i genitori della Vergine presso la Porta Aurea di Gerusalemme. L’autore si è rifatto all’episodio narrato in un Vangelo apocrifo: Gioacchino umiliato perché privo di discendenza si ritira nel deserto per pregare Dio.
Un angelo del Signore gli ordina di tornare a casa poiché sua moglie ha concepito un figlio. La donna lo attende fuori dalle mura.
La tela attribuita ad un artista toscano del ‘400, denota influenze della cultura urbinate e toscana del Botticelli, del Ghirlandaio e di Francesco di Giorgio Martini.
Di particolare interesse storico è la decorazione dorata sulla porta con stemma e tiara pontificia relativi a Federico da Montefeltro.